Sei sonate a tre opera quinta

Sei sonate a tre opera quinta

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简介

“Opera quinta, stampata à mie spese, che si trova apresso di mè, sei sonate a trè, à due Flauti Traversieri, con due Bassi per più comodo. Fiorini 6” Questa frase rientra nella prima edizione a stampa delle Trio sonate Op. 5 di Pietro Antonio Locatelli, edita ad Amsterdam nel 1736. Dopo le prime tre pagine, in cui troviamo il frontespizio dell’opera, il privilegio del Re (una sorta di primitivo “copyright”) e la dedica al nobile olandese Leveston, troviamo un catalogo completo delle opere del compositore. La suddetta dicitura, che si trova a pagina 4 della prima edizione (Fig.1), ha immediatamente suscitato curiosità in me, in quanto presenta delle differenze con il frontespizio in prima pagina (Fig.2): le indicazioni circa i due violini in alternativa ai flauti traversieri, nonché la pluralità dei bassi, scompaiono nel titolo che Locatelli dà a questa raccolta nel catalogo. È altresì interessante notare come questa collezione sia stata dichiaratamente stampata a spese del Locatelli (cfr. “Stampata a spese mie”), e quindi probabilmente svincolata da forzature editoriali quali l’estensione dell’organico a più strumenti al fine di aumentarne la vendibilità. A tal proposito, per quanto le Trio sonate Op. 5 rimandino all’esecutore la scelta relativa all’adozione del violino o del traversiere, si tratta comunque da parte dell’autore di una indicazione relativa all’organico da impiegare piuttosto definita rispetto alla moda del tempo, ovvero quella di strumentare e/o rivendere le opere in maniera generalista. Un esempio di tale prassi possono essere i “Concerts royaux” di François Couperin, Parigi 1722, dei quali lo stesso autore indica l’eseguibilità tanto al clavicembalo solo quanto in formazioni da camera con uno o più strumenti acuti. Affrontare le Trio sonate mi ha quindi posto di fronte a una scelta basilare riguardante la strumentazione da prediligere, prospettandomi una duplice questione circa gli strumenti melodici ed il gruppo del basso continuo. Per quanto riguarda gli strumenti acuti si è deciso di escludere l’ipotesi del traversiere in quanto il violino è da ritenersi sicuramente lo strumento prediletto dal Bergamasco, e in quanto la scrittura delle sonate, in particolare la brillantezza degli allegri, richiede secondo la mia opinione la prontezza di suono e di articolazione del violino. Va considerato inoltre che la scelta delle tonalità da parte di Locatelli rende particolarmente ardua l’esecuzione di alcune sonate (in particolare la terza, in mi maggiore) sul flauto traversiere. Alcuni punti, inoltre, sarebbero fuori estensione per il flauto, costringendo l’esecutore a suonare all’ottava acuta intere frasi (eventualità per altro già prevista da Locatelli nella sua scrittura). Si è quindi optato per mantenere una strumentazione coerente e omogenea in tutte le sonate, in modo da dare un senso di compiutezza alla raccolta che presentiamo. Per quanto riguarda la gestione del continuo, la questione è stata sicuramente più complessa. Come illustrato da Christian Frattima nella sua trattazione, l’attenzione straordinaria che Locatelli rivolge alla numerazione della linea del basso rispecchia probabilmente una grande cura realizzativa che lo stesso autore esigeva; inoltre la dicitura “due bassi per più comodo” indica la probabile presenza contemporanea di più strumenti dediti alla realizzazione dell’armonia. La frase in questione si presta infatti alle più diverse interpretazioni, in quanto la dicitura “due bassi” può sia intendere uno strumento basso (violoncello) ed uno realizzatore (clavicembalo), che due strumenti armonici (due clavicembali o clavicembalo e liuto). Quale sarà la corretta interpretazione delle volontà del compositore? Una soluzione parziale ci viene fornita dallo stesso autore, con la precisazione del doppio continuo nella sesta sonata. Locatelli indica in partitura una strumentazione identica per i due gruppi, almeno per quel che riguarda la realizzazione dell’armonia. Nel caso si fossero usati due clavicembali, sarebbe stato opportuno affiancarli a due violoncelli. Abbiamo però ricercato una varietà nella strumentazione che rendesse il brano più ricco di sfumature, optando per una formazione che contrapponesse il primo gruppo, formato da violoncello e clavicembalo, al secondo, composto da viola da gamba e liuto. La contrapposizione di questi strumenti consente di apprezzare maggiormente la sottile trama imitativa contrappuntistica del brano, e rende la struttura con le quattro voci dialoganti più trasparente. Per quanto riguarda il resto della raccolta, si è optato per fare affiancare al violoncello e al clavicembalo il liuto, sia perché questa ricchezza di strumenti è a mio parere implicita nella sopracitata indicazione dell’autore, sia perché la presenza del liuto ci ha permesso di sfruttare sonorità diverse, ad esempio tacendo il clavicembalo in brani particolarmente dolci e delicati (la siciliana della terza sonata ne è l’esempio più chiaro). Lo strumento utilizzato da Mauro Pinciaroli inoltre, è una copia di una tiorba fiamminga, strumento grossomodo riconducibile al periodo storico e alla collocazione in cui queste sonate furono pubblicate. Infine riguardo la scelta di articolazioni e dinamiche, ci siamo quasi sempre attenuti alle indicazioni dell’autore, salvo in rari casi, in cui ce ne siamo discostati in virtù di scelte estetiche (il pizzicato nella gavotta della sonata sesta non è indicato in partitura, la pastorale della sonata V non sarebbe “attaccata” al vivace che la precede…). Gli strumenti usati per questa registrazione sono tutti strumenti originali, o copie di essi, con montatura barocca. THOMAS CHIGIONI

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